Il Cacao

                     Il Cibo degli Dei
Quando si parla di piaceri del palato, il cioccolato non ha rivali. Ma non è soltanto buono: il cacao,
la materia prima da cui si ricava il cioccolato, ha un ruolo importante nel mercato delle commodity.
La pianta del cacao fu scoperta dagli spagnoli in Sudamerica più di 500 anni fa, e non stupisce che dopo averlo assaggiato l'abbiano chiamato "il cibo degli dei". Se il cioccolato è un piacere per la gola, sono altrettanti piacevoli le performance ottenute dal cacao sul mercato delle materie prime: nel 2009, i future su questa commodity hanno reso il 23,4% e, anche se l'anno successivo hanno perso l'8%, nel primo quadrimestre del 2011, a causa della guerra civile in Costa d'Avorio, le quotazioni del cacao sono salite del 12%.
Il cacao, il termine comunemente usato per descrivere la polvere ricavata dai semi della pianta omonima, risale ai tempi degli Aztechi. Prima di poter liberare il loro inconfondibile aroma, i semi devono essere raccolti, lasciati essiccare al sole, puliti e successivamente tostati.

Due terzi dei semi di cacao raccolti sono destinati alla produzione di cioccolato; il resto viene macinato per ottenere cacao in polvere. La Costa d'Avorio è il principale produttore di cacao, e fornisce il 37% dei 3,4 milioni di tonnellate venduti ogni anno.



Anche il Ghana è un grosso produttore, e copre il 20% dell'offerta globale; l'Indonesia ne produce il 14%, mentre Camerun e Brasile valgono ognuno il 5% dell'offerta.

A commettere il maggior numero di peccati di gola sono i cittadini della Comunità Europea, che consumano il 40% della produzione globale di cacao (contro un irrisorio 12% degli Stati Uniti).
Nonostante il mercato dei future sul cacao sia fiorente, l'universo del cioccolato può riservare amare sorprese. In Ghana la produttività del settore agricolo è in forte calo, e i figli di molti produttori di cacao del Paese non sono interessati a lavorare nell'impresa di famiglia. Per la britannica Cadbury Schweppes, il numero uno al mondo nelle confezioni di cioccolato, acquisita nel 2010 dal colosso statunitense Kraft, le brutte notizie che arrivano dal Ghana sono piuttosto pesanti. Il Paese africano infatti è l'unico fornitore di cacao della divisione inglese della Cadbury, e copre il 70% degli acquisti di cacao dell'intero gruppo. Inoltre, e questo forse è l'aspetto più grave della questione, la Cadbury sostiene che sia proprio il cacao di alta qualità proveniente dal Ghana a dare i suoi prodotti il loro inimitabile sapore.
Nel gennaio 2008, la società ha avviato una collaborazione decennale con i coltivatori di cacao del Ghana; il progetto è stato battezzato "Cadbury Cocoa Partnership", ed ha per obiettivo l'incremento della resa delle piantagioni di cacao, aiutando i coltivatori a lavorare in modo più efficiente e incoraggiando l'uso dei fertilizzanti.
Le coltivazioni
I Paesi produttori di cacao sono per la maggior parte in via di sviluppo e sono localizzati in Africa, America centrale ed America del sud. Il cacao è coltivato in modo differente a seconda dei luoghi interessati dalla coltura. In centro e in sud America il cacao viene coltivato sia in piantagioni con superficie superiore a 20 ha sia in piccole piantagioni (queste ultime poco prevalenti negli ultimi anni). In Africa il cacao è coltivato quasi esclusivamente in piccoli appezzamenti e solitamente le aziende produttrici sono di modeste dimensioni. Non mancano nel continente africano grandi piantagioni, ad esempio: nell’ovest del Camerun, con alcuni esempi realizzati dai tedeschi agli inizi del secolo; in Congo e in Nigeria, di recente realizzazione; in Costa d’Avorio per iniziativa di compagnie europee. In Trinidad le piantagioni sono relativamente piccole - poche superano i 160 ha
- ma in Brasile ed Ecuador sono state realizzate alcune grandi piantagioni. La realizzazione della coltivazione su grandi estensioni si deve a singoli individui o famiglie di latifondisti, ma ci sono anche casi di piantagioni realizzate da multinazionali (ad esempio in Costa Rica ad opera della statunitense United Fruit Company). In Guinea Equatoriale la maggior parte della produzione è imputabile a grossi impianti. Nell’estremo est dell’Asia quella del cacao è una coltura relativamente recente ed è realizzata in piantagioni, sia pubbliche sia private, così come in piccole proprietà (Malesia e Papua Nuova Guinea).

La coltivazione del cacao su grandi estensioni gestite da compagnie o da grandi latifondisti sono convenienti perché non richiedono un elevato investimento di capitali, in particolare per le operazioni post-raccolta e forniscono rese più elevate su larga scala. Il cacao non richiede elevati investimenti in macchinari e può essere realizzato su qualunque scala, ma è una coltura che richiede molta manodopera, può essere definita una tipica economia di raccolta, in cui i salari dei raccoglitori hanno un peso rilevante sul bilancio economico dell’impresa. Per essere competitiva con i piccoli produttori la grande piantagione deve garantire rese più elevate e i modi per ottenerle sono oggi in via di sperimentazione.

Theobroma cacao
L’albero del cacao cresce nella fascia tropicale, tra i 10 e i 20 gradi a nord e a sud dell’equatore, zona anche chiamata "the cocoa belt". L’albero del cacao può essere molto alto e arrivare fino a 12 metri. Il cacao comincia a dare frutti solo dopo circa cinque anni e ne impiega dieci per fornire una resa ottimale.


I suoi frutti, chiamati cabosse, possono assumere un colore che va dal marrone/giallo al viola e contengono dai venti ai quaranta semi o fave di cacao. Ogni pianta produce dalle venti alle cinquanta cabosse l'anno e per produrre un chilo di cacao sono necessarie circa dieci cabosse.

Sottospecie
Esistono tre sottospecie di cacao, con caratteristiche molto diverse tra loro: il criollo, il forastero e il trinitario.

Il nome criollo viene dalla parola spagnola creolo, ovvero indigeno, locale.
È la varietà che ha subito meno modifiche nel corso dei secoli e si è mantenuta più pura e fedele all’originale. I semi bianchi dei suoi frutti violacei rappresentano la varietà di cacao più pregiata al mondo con una produzione che non supera il 10% dell’intera produzione mondiale. È anche la varietà più delicata ed esposta alle malattie, e viene coltivata esclusivamente nei luoghi di origine della pianta e principalmente in Messico, Colombia e Venezuela.
Dai suoi semi si ottiene un cacao aromatico, delicato e dolce, con delle note di eleganza e raffinatezza ineguagliate dalle altre sottospecie.

La parola forastero, invece, significa “straniero”, perché è una sottospecie presente principalmente in territori diversi da quelli di origine e particolarmente in Africa.
È il cacao più coltivato al mondo perché è il più resistente, anche grazie ad un’ibridazione avvenuta nel 1938 che lo ha reso ancora più forte.
Ovviamente, dato che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, è anche la varietà meno pregiata, quella utilizzata dalla grande distribuzione, e rappresenta quasi l’80% del mercato mondiale.
Dà un cacao per nulla aromatico, con caratteristiche gustative piatte e poco spiccate. L’unica eccezione è rappresentata dal cacao Nacional o Arriba, un tipo di forastero che cresce unicamente in Ecuador ed è annoverato tra i cacao aromatici. Ha caratteristiche gustative molto più robuste e decise rispetto ad un criollo, ma è anche un cacao di spessore che offre moltissime sensazioni gustative.

In ultimo abbiamo il trinitario che ha origine dall’ibridazione tra criollo e forastero e che prende il nome dalle isole Trinidad, il luogo dove venne coltivato per la prima volta alla fine del XVIII secolo. Questa ibridazione ha effettivamente dato luogo a delle piante resistenti alle infestazioni che allo stesso tempo producono un cacao di alto pregio, con notevoli note aromatiche ed una finezza che, pur non raggiungendo quella dei criollo, è senz’altro di alto livello.


Tab1.3.2. Principali specie di Theobroma, localizzazione approssimata, usi e nomi locali.
Fonte: Chimica degli Alimenti Cabras - Martelli 2004, Padova


Specie
Localizzazione
Usi, nomi locali
T. angustifolium
America Centrale
Si miscela con il cacao per ottenere il cioccolato in Messico e Costa Rica, cacao de mico (Costa Rica), Cushta (El Salvador)
T. asclepiadi flora
Panamà

T. bernoulli
Panamà

T. bicolor
Messico (Veracruz, Chiapas,
Tabasco) fino al Brasile
(Parà)
In Messico (Pataxte) si consuma la polpa, mentre le fave
si tritano per preparare un tipo di cioccolata;Pataxte
(Maya); bacao (Colombia); cacado du Parà, cacado du
himare (Venezuela)
T. calodesmis
Amazzonia peruviana,
Colombia

T. capillifer
Colombia
Cacao de monte
T. chocoense
Colombia

T. cirmolinae
Colombia (Regione del
Pacifico)

T. gileri
Ecuador, Colombia
(Regione del Pacifico)
Kayani (Venezuela)
T. glaucum
Amazzonia, ecuadoriana e Colombiana
Cacao challua
T. grandiflorum
Brasile (Parà), Venezuela
(Amazzonia)
Viene coltivato in tutta l’Amazzonia per la sua polpa ed il suo cioccolato; viene usato per la produzione di bevande rinfrescanti,gelati e dolci. Cupuce, cupuaçu (Brasile), copoazu o barechua, mamakuke okuey (Venezuela)
T. mammosum
Costa Rica

T. microcarpum
Amazzonia brasiliana e
Colombiana
Cacaurena, cabeca de uruba, cacaujacare (Brasile)
T. nemorale
Colombia (regione del
Pacifico)
Cacao de monte (Colombia), cacao montero (Venezuela)
T. obovatum
Amazzonia brasiliana ed
Ecuadoriana
Cacau-cabeca de cerubù (Brasile), Colombia (Rio
Caquetà), Venezuela (Amazzonia)
T. simiarum
Costa Rica , Panamà,
Colombia
Cacao de mico (Costa Rica)
T. speciosum
Amazzonia, nord-est
dell’America del Sud e sudest del Messico
Cacauì (Brasile)
T. spruceanum
Brasile (Parà)
Cacao azul
T. stipulatum
Colombia (Regione del
Pacifico)

T. subincanum
Venezuela, Amazzonia
peruviana ed ecuatoriana,
Brasile (Parà, Rondonia),
Guyana francese
Cuoui (Brasile), sacha cacao (Perù), maver (Venezuela)
T. sylvestrisis
Guyana Francese, Brasile, Colombia
Cacauì, cacao azul, cacauì da meta (Brasile)



LA PRODUZIONE DI CIOCCOLATO
Il cacao si utilizza per la preparazione della cioccolata e di dolci vari o direttamente come cacao in
polvere. Possiamo avere varie tipologie commerciali di cacao, anche se le principali sono tre:
Il liquor : il cacao una volta tostato è quindi pronto per essere inviato ai mulini che lo
trasformano in liquor (o massa di cacao), favorendo la rottura delle cellule e la fuoriuscita del
burro di cacao fuso, quindi alle presse a caldo, dove il burro di cacao viene "spremuto" e separato
dalla massa. Il cacao utilizzato per preparare cacao in polvere viene prima trattato con sostanze
alcaline a caldo, al fine di migliorarne la bagnabilità (idrofili a) in soluzione acquose e la
dispersibilità, con il metodo dell' alcalinizzazione detto "olandese", in cui cotiledone, granella o
liquor sono trattati con soluzioni acquose alcaline diluite al 2-2,5% a 75-100 gradi centigradi
(MgOH, KOH, NaOH, K₂CO₃, Na₂CO₃) ed eventualmente neutralizzate con acido tartarico. Si
procede essiccando sotto vuoto riducendo al 2% l'umidità. Durante l'alcalinizzazione si promuove
lo swelling dell'amido. Si ottiene così il “cacao solubile", anche se la solubilità, in realtà, non
viene aumentata. Il cacao "alcalinizzato" in media contiene il 52-58% di burro di cacao, fino al
5% di ceneri e circa il 7-10% di massa di cacao. Il riscaldamento in ambiente basico può
promuovere la formazione di D-amminoacidi in particolare di D-alanina. Questo aminoacido non
naturale e di dubbio significato nutrizionale.
Cacao in polvere, burro di cacao: la massa di cacao liquefatta, contenente ancora tutto il grasso,
viene detta "liquor" o "massa di cacao". Il liquor, ottenuto in mulini che lavorano a temperature superiori
agli 85°C, viene pressato mediante presse idrauliche (400-500 bar, 90-100°C) o presse a vite,
tenendo la separazione del burro di cacao di pressione delle "torte" (panelli) di pasta di cacao,
parzialmente sgrassate. Il grasso residuo di questi dischi solidi va dall' 8 al 25%; le "torte" vengono
poi rotte e sbriciolate . Per ottenere polvere di cacao (leggermente sgrassata con più del 20% in

burro di cacao e sgrassata, con meno del 20%). Il burro di cacao liquefatto, viene separato, filtrato e reintrodotto in diverse percentuali nei vari derivati, nel tenore richiesto dal tipo di prodotto e dalla normativa (quando fissato). L'acidità e il contenuto insaponificabile hanno caratterizzato differenti tipi merceologici di burro o grasso di cacao, fino al recepimento della nuova direttiva comunitaria a partire dal 3/8/2003. Oggi esiste un'unica voce merceologica di burro di cacao.

Principali paesi produttori di cacao

Paese
Valore
Produzione
($1000*)
Tonnellate
1,024,339
1,330 000
2 Ghana
566,852
736 000
469 810
610 000
281,886
366 000
164,644
213,774
138,632
180 000
105,652
137,178
42,589
55,298
37,281
48,405
32,733
42 500
11 Malesia
25,742
33,423
24,646
32 000
13 Peru
21 950
28 500
13,093
17 000
8,472
11 000
16 Togo
6,547
8 500
17 India
6,161
8 000
4,352
5 650
19 Congo
4,336
5,630
3,851


COSTA D’AVORIO
Ex colonia francese, la Costa d’Avorio si affaccia sull’Oceano Atlantico. Si estende per una
superficie di 320.763 Kmq ed ha una popolazione di 16 milioni di abitanti.
L’85% della forza lavoro è impiegata in agricoltura, selvicoltura e nell’allevamento del bestiame.
L’agricoltura è il settore produttivo più importante e contribuisce all’80% alle esportazioni.
I prodotti agricoli includono cacao, caffè, banane, legname, noci di palma e gomma. La Costa
d’Avorio è il primo produttore mondiale di cacao e il terzo per il caffè. Le colture agricole
includono anche riso e patate dolci. Il maggior partner commerciale del paese è l’Unione Europea
ed in particolare la Francia che fornisce il 35% delle importazioni ivoriane e riceve il 18% delle sue
esportazioni. In Africa, la Costa d’Avorio ha contatti commerciali con i paesi aderenti alla
Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) di cui fanno parte Nigeria, Camerun e Senegal. Nonostante l’impressionante crescita economica sviluppatasi dagli anni ’60
(anno dell’indipendenza dalla Francia) agli anni ‘80, il Paese ha subito una forte recessione durante
i primi anni ’90, dovuta in particolare al crollo dei prezzi agricoli, alle politiche di stabilizzazione e
di aggiustamento strutturale volute dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale e al recente conflitto armato. Lo sviluppo economico ha favorito una forte immigrazione dai Paesi
confinanti, sia da quelli colpiti da guerre civili, come la Liberia e il Ghana, sia dai Paesi ad
economia più povera, come il Mali, che offrivano manodopera stagionale. La situazione politica e
sociale degli immigrati è drasticamente cambiata dal 1993, anno della morte del Presidente Boigny
che aveva incoraggiato moltissimo i flussi migratori. La coltura del cacao fu introdotta in Costa
d’Avorio nel 1880 ad opera della Francia che gettò le basi per un sistema agricolo capitalista,
rimanendo proprietaria dei campi di cacao sino alla Prima Guerra Mondiale, con l’inclusione di
centri di ricerca per lo sviluppo qualitativo dei semi di cacao. Il prezzo del cacao aumentò
notevolmente dopo la guerra e i coltivatori locali, che non lavoravano nei campi coloniali,
diventarono proprietari dei campi, dove prestavano la loro opera. Si organizzarono in unioni che
controllavano la raccolta e il trasporto del cacao dalle zone più remote verso i porti per venderlo alle autorità coloniali che lo esportavano in Francia. Raggiunta l’indipendenza nel 1960, la Costa
d’Avorio sviluppò un sofisticato sistema per esportare il cacao e controllare i campi di raccolta: il
Governo aveva il controllo sul mercato e sui prezzi, vi erano restrizioni sulle quantità e le attività
del settore privato che venivano adeguatamente vagliate e sostenute con agevolazioni all’
esportazione. Gli interventi statali, operanti attraverso la Caisse de Stabilisation o Fondo di
Stabilizzazione (CAISTAB), garantivano la partecipazione dei coltivatori che percepivano guadagni
adeguati per la copertura dei costi di produzione e per l’incremento delle coltivazioni. Negli anni
‘70, con l’incentivo delle politiche governative per le coltivazioni di cacao, la Costa d’Avorio
registrò un aumento del 344% nei profitti derivanti dalla vendita del cacao.

INDONESIA
L’Indonesia è un arcipelago composto da diverse grandi isole e migliaia d’isole minori (in tutto
sono oltre 17mila), con Java in posizione nettamente dominante sotto il profilo economico e sociale.
Seguono, per rilevanza e potenziale economico, Sumatra, Kalimantan (Borneo sudoccidentale) e
Nuova Guinea (orientale). La coltivazione del cacao, già praticata nel secolo scorso, così come in
altri paesi asiatici (Malesia, Sri Lanka), si è affermata solo negli ultimi decenni. Il livello produttivo
indonesiano venne raddoppiato negli anni ’70, restando tuttavia ancora poco indicativo a livello
mondiale (0.1% del totale mondiale). Grazie al sostegno governativo ai piccoli coltivatori, la
produzione nei primi anni ’80 ha superato le 50.000 t .
L'Indonesia è adesso il secondo produttore di cacao al mondo, dopo la Costa d'Avorio, anche se la
qualità è spesso mediocre; i migliori cacao indonesiani vengono prodotti sull'isola di Java, mentre a Sulawesi la qualità è notevolmente inferiore. Makassar, che si trova sull'isola di Sulawesi, in
Indonesia è fondamentale porto di esportazione di cacao, iniziata già nel 1995. La grande quantità
di fave di cacao prodotte nel paese fa sì che siano presenti anche diverse aziende trasformatrici che a partire dalle fave producono semilavorati come burro di cacao, pasta di cacao, cacao in polvere, cioccolato di copertura e, meno spesso, cioccolato finito; il tutto a scopo di esportazione.
Queste condizioni favorevoli per la coltivazione del cacao, (in particolare considerata l’alta intensità di manodopera richiesta) hanno permesso all’Indonesia di iniziare nel 1995 le esportazioni di cacao anche verso la Malesia. Infatti negli anni ’80 si erano registrati aumenti di produzione, ma oggi la coltivazione non è più conveniente a causa dei ribassi dei prezzi mondiali del cacao e dell’aumento del costo del lavoro ( molte delle superfici di cacao sono state reinvestite con altre colture a minore intensità di manodopera, ad es. la palma da olio).
Nei piani governativi di espansione della coltura grande importanza è stata posta al miglioramento
della qualità del prodotto. Il cacao indonesiano e i suoi derivati avevano in passato una pessima
reputazione sui mercati mondiali. Le zone di espansione sono scelte con criteri selettivi e inoltre, su pressione del governo, sono stati imitati i sistemi produttivi africani. L’Indonesia, con le sue
485.000 tonnellate annue di cacao si pone al secondo posto nel mondo, dopo Costa d’Avorio
(rappresentando circa il 14% della produzione mondiale di cacao e il 90% della produzione asiatica
(il restante è suddiviso tra Malesia, India e Papua Nuova Guinea). L’export rappresenta infine circa
l’88% della produzione locale. Molte aziende indonesiane infatti, sono deputate alla produzione di
cioccolato.
Una delle principali aziende produttrici di cacao e dei suoi derivati, come il cioccolato, in Indonesia
è la Mayora Indah Tbk che è al secondo posto in Asia per la produzione di prodotti a base di
cioccolato nel 2012, registrando una quota di vendita al dettaglio del valore di quasi 13%. L'azienda commercializza i propri prodotti come barrette di cioccolato ripiene a prezzi concorrenziali, pasta di cioccolato e altri i prodotti che sono classificati come “a base di cioccolato”. L’economia del cioccolato da pasticceria in Indonesia e le barrette di cioccolato ripiene hanno dovuto affrontare una forte concorrenza per l’introduzione di nuovi prodotti come per esempio i biscotti ripieni.

BRASILE
Il cacao in Brasile è coltivato in otto stati del nord e del nordest: Acre, Amazonas, Bahia,
Espirito Santo, Maranhão, Mato Grosso, Pará e Rondônia, ma lo stato principale è senz'altro
Bahia. In questo stato la pianta del cacao fu introdotta nel 1746 da un colono francese,
Louis Frederico Warneaux, che importò le sementi dal Pará, regalandole all'amico Antonio
Dias Ribeiro che iniziò la prima coltivazione nella fazenda Cubículo, situata sulla sponda
destra del Rio Pardo , ora comune di Canavieiras. L'introduzione della coltivazione del cacao ha contribuito a diffondere ricchezza nel sud di Bahia, ha fatto nascere città, ha segnato generazioni intere, e ha fondato un’identità storico-culturale basata sull'attività agricola. Purtroppo però le cose per i coltivatori non sono sempre andate per il meglio: negli anni '30-40 la coltivazione
del cacao soffre della crisi mondiale di quel periodo. Una non felice gestione delle fazendas e un comportamento non favorevole degli organismi dello stato che ciecamente minimizzavano il problema e tagliavano fondi fecero precipitare la situazione. Si arrivò al punto che la produzione
divenne antieconomica, gli agricoltori erano divisi, senza fondi, senza stimoli e molti abbandonarono la coltivazione. All'apice della crisi, il Governo Federale decise di intervenire
e fondò il 20 febbraio 1957, la Commissione Esecutiva per il Recupero Economico Ceplac, con l'obiettivo di recuperare e razionalizzare la coltivazione del cacao. Il credito orientato fu lo strumento usato dalla Ceplac per recuperare il settore in crisi, finanziando nuove tecnologie e fornendo le fazendas d’infrastrutture appropriate per una maggior produzione. Dopo ben quindici anni di interventi mirati si raggiunse l’obiettivo di riportare i livelli di produzione a quelli precedenti la crisi. La produzione brasiliana di cacao si riprese molto bene, sino a sfiorare la considerevole produzione di 383mila tonnellate nell'annata 1987/1988 corrispondente al 16% dell’intera produzione mondiale, ma i coltivatori erano destinati a non dormire sonni tranquilli: il disastro era alle porte. Un terribile fungo chiamato Vassoura-de-bruxa, (Crinipellis perniciosa) prese di mira lepiantagioni brasiliane facendo precipitare la produzione a 124mila tonnellate circa nell'anno2001/02.
Questa malattia è responsabile del calo di circa il 40% della produzione di cacao in
Amazzonia e del 30% in Venezuela. La forte umidità e il caldo favoriscono l'espandersi
delle spore del fungo, che è capace di attaccare e distruggere il 90% dei frutti di una pianta.
La terribile malattia della Vassoura de-bruxa (letteralmente scopa della strega), come detto
ha provocato un sostanziale calo della produzione di cacao brasiliano, che associato al basso
prezzo del prodotto sul mercato internazionale ha provocato un indebolimento generale del
capitale dei produttori e, conseguentemente, un insufficiente investimento in mezzi per il
mantenimento a livelli competitivi delle coltivazioni. Di fronte a questo scenario si è resa
necessaria l'adozione di nuove strategie sia dal punto di vista amministrativo/legislativo che
tecnico per garantire la continuazione di un’attività economica che a volte rappresenta
l’unica opportunità di reddito per gli abitanti del luogo. Contro il contagio del fungo tutti i
provvedimenti sono stati sinora inefficaci o antieconomici. L'unica soluzione adottata dai
coltivatori è quella di tagliare rami e foglie infestati e distruggerli, spesso con il sacrificio
dell'intera pianta. Anche il Brasile, come l’Indonesia è un forte produttore di prodotti
derivati dal cacao tra cui il cioccolato con la presenza di alcune aziende leader mondiali del
settore come la Kraft e la Nestlè.

Il cacao più raro al mondo? Il Criollo
Se consideriamo tutto il cacao raccolto in un anno – 4 milioni di tonnellate -, solo una piccola, piccolissima quantità è pura e originale. Originale come quella che mangiavano i maya e gli atzechi, quando il cioccolato era il “cibo degli dei”. Quello che più si avvicina si chiama Criollo, ed è un cacao raro che è difficile incontrare per caso. Perché è molto più facile, vista l’abbondante produzione, acquistare un cioccolato di una qualità più comune, il Forastero. Un cacao meno pregiato, con un sapore di gran lunga diverso dal Criollo. Ed è questo l’aspetto che più conta se si vuol mangiare un prodotto d’eccellenza. Valeria Feggi è docente all’istituto internazionale Chocolier, con lei abbiamo cercato di capire tutti i motivi che portano questo cacao a avere qualità superiori alle altre.
  1. La diversità è già sulla pianta
Il Criollo non è stato mai ibridato, quindi ha subito meno modifiche nel corso dei secoli. Il frutto ha un bassissimo contenuto di pigmenti antociani. Così quando si rompe in due la fava, l’interno è di colore bianco e non viola come nelle altre fave di cacao. È una pianta delicata che necessita di cure e attenzioni costanti. La resa è decisamente inferiore rispetto alle altre due varietà, il Forastero e il Trinitario.
  1. È più simile alla frutta secca
In una tavoletta di cioccolato è difficile trovare un aroma diverso da quello classico, del cacao. Nelle tavolette di Criollo l’aroma di frutta secca è molto evidente. Questo perché le fave di cacao di solito contengono antociani e tannini che lasciano una traccia amara e astringente al cioccolato. Il cioccolato criollo invece ha un sapore più dolce e aromatico.
  1. È una produzione di nicchia
La produzione di Criollo è quasi totalmente scomparsa. I numeri: su 4 milioni di tonnellate di cacao prodotte in un anno, solo 40 tonnellate sono di Criollo. La più produzione più grande è in Venezuela, ma ce ne sono anche in Messico ed Ecuador. In Venezuela c’è l’Hacienda San Josè: 320 ettari con una decina di varietà di cacao criollo.
  1. Ha un sapore diverso
La varietà più antica di cacao è il Chuao. Le fave, completamente bianche, regalano al cioccolato una grande dolcezza e rotondità con note di crema di latte, miele e frutta secca. Però è il Guasare ad essere considerato l’origine di tutti i Criollo: è celebre per la sua finezza, per gli aromi di frutta secca e miele. L’Ocumare 77 ha invece il sapore più curioso: caramello, tabacco, noci, papaya, sottobosco, funghi e datteri.
  1. Perché ha una qualità superiore

Il cacao criollo quando diventa cioccolato rilascia note di frutta fresca e soprattutto di frutta secca. Un gusto fine che si associa ad una rotondità e dolcezza naturale eccellente, lontana dai sapori amari e astringenti degli altri cioccolati. Questo perché il cacao comune non è aromatico. A differenza del Criollo. Anche le tavolette di cioccolato sono diverse. Non serve l‘aggiunta di burro di cacao o di emulsionanti come la lecitina di soia. Basta il cacao criollo per avere una tavoletta di cioccolato naturalmente morbida.
Il segreto per avere cioccolato di qualità super è proprio quello di mangiarlo nella sua forma cruda, allo stato naturale, cioè sotto forma di semi! Quando i chicchi di cacao sono troppo scaldati, miscelati, lavorati, manipolati chimicamente e subiscono l’aggiunta di latticini, perdono le loro qualità nutritive, la consistenza, le proprietà psicoattive, la capacità di nutrire il cervello e altro ancora. Anche altre proprietà dei chicchi di cacao si perdono con la cottura, come il sapore del cioccolato fondente, gli antiossidanti, le virtù afrodisiache, la capacità di migliorare l’umore e tante altre ancora. La cottura pare responsabile anche di alcune conseguenze negative del consumo di cioccolato, come le allergie o l’eccessivo desiderio di mangiarlo e addirittura la dipendenza.

Composizione Chimica
Il  cacao è composto dal 3 % di acqua, dall’1,7 % di zuccheri, dal 5,8 % di ceneri, dal 13,8 di grassi, dal 19,6 di proteine e dal 33 % di fibre alimentari. 

I minerali sono: magnesio, potassio, calcio, fosforo, ferro, zinco, rame, manganese, selenio e sodio.

Queste le vitamine: vitamine B1, B2, B3, B5, B6, vitamina K e J.

Il cacao contiene i seguenti aminoacidi: acido aspartico e acido glutammico, alanina, arginina, cistina, glicina, fenilalanina, istidina, isoleucina, leucina, lisina, prolina, metionina, serina, tirosina, triptofano, valina e treonina.

Molto importante la presenza di sostanze chimiche con proprietà benefiche per l’organismo umano come la caffeina, le serotonina, la tiramina e la feniletilamina.

Proprietà e Benefici del Cacao
Solo nel cioccolato amaro, l’epicatechina, un flavonoide che conferisce il classico gusto amaro, mantiene inalterate le sue proprietà  antiossidanti.

·       Energetico: innanzitutto è bene precisare che grazie al suo contenuto di sali minerali, vitamine e carboidrati il cacao è un alimento molto energetico e quindi consigliato a chi svolge attività sportiva ma anche a chi è nell’età dello sviluppo.

    Antiossidante: il cioccolato fondente (quello amaro per intenderci) contiene una buona quantità di sostanze antiossidanti in grado di combattere gli effetti dei radicali liberi e rallentare il processo di invecchiamento delle cellule. L’ alto potere antiossidante è dovuto ad un gruppo di composti chiamati polifenoli e più nello specifico i flavonoidi. Questi sono presenti nel cacao più che in ogni altro alimento. In particolare sono presenti due flavonoidi in quantità molto elevate, catechina ed epicatechina. Queste due sostanze si presume che abbiano effetti benefici sulla salute.

·       Combatte il colesterolo: la grande quantità di antiossidanti presenti nel cacao hanno affetti benefici anche sul colesterolo, una regolare assunzione è infatti in grado di aumentare la percentuale di colesterolo buono HDL e di abbassare la percentuale di quello cattivo LDL. Uno studio pubblicato sull’ American Journal of Clinical Nutrition nel Novembre 2002 sostiene che questi flavonoidi vengono assorbiti interamente ed intatti dal sangue portando così i loro benefici all’organismo.

·       Antidepressivo: la teobromina, insieme alla caffeina, ha la proprietà di aumentare la concentrazione e la prontezza di riflessi, mentre la serotonina ha la capacità di sostenere il sistema nervoso in caso di depressione. Da notare che un altro componente del cacao, la tiramina, viene impiegata per la preparazione di  farmaci antidepressivi. Nel cacao è presente una vasta gamma di sostanze che provocano euforia tra cui la serotonina, la tiramina, e l’anandamide. La tiramina aiuta a placare gli stati ansiosi ed a riequilibrare l’umore ma nelle persone particolarmente sensibili può far venire il mal di testa.

La storia del cacao e del cioccolato


La pianta del cacao ha origini antichissime e, secondo precise ricerche botaniche si presume che fosse presente più di 6000 anni fa nelRio delle Amazzoni e nell'Orinoco. I primi agricoltori che iniziarono la coltivazione della pianta del cacao furono i Maya solo intorno al1000 a.C. Le terre che si estendono fra la penisola dello Yucatàn, il Chiapas e la costa pacifica del Guatemala furono quindi le prime a vedere l'inizio della storia del cacao, e insieme ad esso del cioccolato.

La leggenda dice che la coltura del cacao fu sviluppata dal terzo re Maya: Hunahpu. Un'altra leggenda, questa volta azteca, dice che in tempi remoti una principessa fu lasciata, dal suo sposo partito in guerra, a guardia di un immenso tesoro; quando arrivarono i nemici la principessa si rifiutò di rivelare il nascondiglio di tale tesoro e fu per questo uccisa; dal suo sangue nacque la pianta del cacao, i cui semi sono così amari come la sofferenza, ma allo stesso tempo forti ed eccitanti come le virtù di quella ragazza.    
(2)Aztechi

(1)Maya
Tornando alla storia, successivamente ai Maya anche gli aztechi iniziarono la coltura del cacao, e in seguito la produzione di cioccolata; associavano il cioccolato a Xochiquetzal, la dea della fertilità. Con valore mistico e religioso, il cacao veniva consumato dall'élite durante le cerimonie importanti, offerto insieme all'incenso come sacrificio alle divinità e a volte mischiato al sangue degli stessi sacerdoti. A conferma di ciò, sono stati trovati diversi esempi di raffigurazione della pianta del cacao su alcuni vasi e codici miniati Maya.

Oltre ad un impiego liturgico e cerimoniale, nelle Americhe il cioccolato veniva consumato come bevanda, chiamata xocoatl, spesso aromatizzata con vanigliapeperoncino e pepe. Tale bevanda era ottenuta a caldo o a freddo con l'aggiunta di acqua e eventuali altri componenti addensanti o nutrienti, quali farine e minerali. Altri modi di preparazione combinavano il cioccolato con la farina di mais ed il miele. La sua caratteristica principale era la schiuma, che veniva anticamente ottenuta mediante travasi ripetuti dall'alto da un recipiente ad un altro.

Con la Conquista spagnola, si impone l'uso del molinillo, che ruotato velocemente avanti e indietro tra le mani consentiva di ottenere in tempi più brevi la densa schiuma tanto amata dai consumatori della bevanda. Non si può non notare, per inciso, la singolare coincidenza del procedimento di preparazione della bevanda di cacao e acqua per travaso, con l'usoafricano di preparare il  (tre cicli successivi di preparazione, ciascuno dei quali si ottiene per bollitura delle foglie di tè, travasi ripetuti dall'alto fino al montare della schiuma - peraltro ovviamente meno consistente di quella del cacao - e consumo).

Lo xocoatl aveva l'effetto di alleviare la sensazione di fatica, effetto probabilmente dovuto alla teobromina in esso contenuta. Esso era un articolo di lusso in tutta l'America centrale pre-colombiana; i semi di cacao erano usati come moneta di scambio, di conto e anche come unità di misura: nel tesoro dell'imperatore Motecuhzoma (più noto con il nome storpiato di Montezuma) se ne poterono trovare quasi un miliardo. Si diceva che lo xocoatl avesse un sapore squisito. José de Acosta, un missionario gesuita spagnolo che visse in Perù e poi in Messico nel tardoXVI secolo scrisse:

Disgustoso per coloro che non lo conoscono, con una schiuma o pellicola in superficie che è molto sgradevole al gusto. Tuttavia è una bevanda molto apprezzata dagli indiani, che la usano per onorare i nobili che attraversano il loro paese. Gli spagnoli, sia uomini che donne, che si sono abituati al paese sono molto golosi di questo Chocolaté. Dicono di prepararne diversi tipi, caldi, freddi, tiepidi, e di aggiungervi molto chili; ne fanno inoltre una pasta che dicono essere buona per lo stomaco e contro il catarro.
Nel 1502 avvenne il contatto del cacao con la civiltà europea: Cristoforo Colombo durante il suo quarto e ultimo viaggio in America sbarca in Honduras dove ha l'occasione di assaggiare una bevanda a base di cacao; al ritorno, portò con sé alcuni semi di cacao da mostrare a Ferdinando ed Isabella di Spagna, ma non diede alcuna importanza alla scoperta, probabilmente non particolarmente colpito dal gusto amaro della bevanda.
Solo con Hernàn Cortéz si ha l'introduzione del cacao in Europa in maniera più diffusa, era il 1519. Egli arriva nel Nuovo Mondo proveniente dalla Spagna e la popolazione locale lo scambia per il Dio Quetzalcoàtl, che secondo la leggenda sarebbe dovuto tornare proprio in quell'anno. L'imperatore Montezuma, allora, lo accoglie a braccia aperte e gli offre un'intera piantagione di cacao coi relativi proventi. Nel 1528 Cortéz porta in Spagna alcuni semi di cacao, recandoli in dono a Carlo V.
(3)Hernàn Cortéz
Il primo carico documentato di cioccolato verso l'Europa a scopo commerciale viaggiò su una nave daVeracruz a Siviglia nel 1585 (a Siviglia aveva sede il Reale Consiglio delle Indie, attraverso cui la corona spagnola controllava tutti i traffici commerciali, l'amministrazione, gli aspetti militari e religiosi delle proprie colonie d'oltre oceano. Tutti movimenti materiali avvenivano attraverso il porto di Cadice). Il cioccolato veniva sempre servito come bevanda, ma gli europei, e in particolar modo gli ordini monastici spagnoli, depositari di una lunga tradizione di miscele e infusi, ci aggiunsero la vaniglia e lo zucchero per correggerne la naturale amarezza e tolsero il pepe e il peperoncino.
(4)ordini monastici
Pare che sia stato il vescovo Francisco Juan de Zumàrraga nel 1590 ad aggiungere lo zucchero alla ricetta della bevanda. Un'opera del 1591 di Juan Cardenas è fra le prime a citare la controversia. Per tutto il Cinquecento il cioccolato rimane un'esclusiva della Spagna, che ne incrementa le coltivazioni. La tradizionale lavorazione per la produzione delle tavole di cioccolato solide, anch'esse di origine azteca, viene importata nella Contea di Modica, allora protettorato spagnolo. Tale lavorazione dà origine allo xocoàtl, un prodotto che gli abitanti del Messico ricavavano dai semi di cacao triturati su una pietra chiamata metate, prodotto che ormai si produce nella sola Modica in Sicilia.
(5)Modica
A cavallo fra il Cinquecento e il Seicento il cacao fu probabilmente importato in Italia, e precisamente in Piemonte, da Caterina, figlia di Filippo II di Spagna, che sposò nel 1585 Carlo Emanuele I, duca di Savoia. Non bisogna inoltre dimenticare che nell'Italia meridionale regnavano gli Spagnoli e fu probabilmente anche per la loro influenza che il cacao si diffuse in Italia. Nel Seicento il cacao arriva in Toscana per merito del commerciante di Firenze Francesco d'Antonio Carletti.
(6)Italia. Da Caterina figlia di Filippo II di Spagna
Nel 1606 il cioccolato veniva prodotto in Italia nelle città di FirenzeVenezia e Torino.[6] Le tracce dell'antico legame fra Firenze e la cioccolata si ritrovano in alcuni fondi librari della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Magliabechiano e Palatino), dove si rintracciano numerosi scritti che testimoniano a partire dal 1600 un acceso dibattito sul cioccolatte e sui suoi consumi (Francesco Redi, Lorenzo Magalotti, Francesco D'Antonio Carletti). Sempre a Firenze, dal 1680, si rintracciano numerosi scritti sul tema della cioccolata. Nel 1680 esce Differenza tra il cibo e 'l cioccolatte… (a cura di Gio.Battista Gudenfridi), cui seguono nel 1728Parere intorno all'uso della cioccolata (Gio. Battista Felici), Lettera in cui si esaminano le ragioni addotte dall'Autore del primo parere intorno all'uso della cioccolata(Lorenzo Serafini), Lezione accademica in lode della cioccolata (Giuseppe Avanzini) e Altro parere intorno alla natura, ed all'uso della Cioccolata disteso in forma di lettera… (Francesco Zeti).
Nel 1615 Anna d'Austria, sposa di Luigi XIII, introdusse il cioccolato in Francia. Tra il 1659 e il 1688 l'unico cioccolataio presente a Parigi fu David Chaillou.Nel 1650 il cioccolato viene commercializzato anche in Inghilterra: a Oxford si inizia a servire il cioccolato negli stessi locali in cui si serviva il caffè. Nel XVII secolodivenne un lusso diffuso tra i nobili d'Europa e gli olandesi, abili navigatori, ne strappano agli spagnoli il controllo mondiale e il predominio commerciale.
Nella Venezia del Settecento nascevano le prime "botteghe del caffè" (o coffe house), antesignani dei nostri bar; esse erano, certamente, anche "botteghe della cioccolata" e facevano a gara per modificare la ricetta esistente inventando nuove versioni. Nel 1760 la Gazzetta Veneta documenta l'ormai enorme diffusione del prodotto. Fino a tutto il XVIII secolo il cioccolato viene considerato la panacea di tutti i mali, e gli si attribuiscono virtù miracolose.
Il Brasile, il Venezuela, la Martinica e le Filippine aumentano in modo spropositato la coltivazione di cacao; contemporaneamente molte città europee si pregiano della fama per la lavorazione del cioccolato; un esempio fra tutti èTorino, che ha una produzione di ben 350 kg al giorno, esportato in maggior parte in AustriaSvizzeraGermania e Francia, dove poco alla volta la preparazione di bevande al cioccolato diventa una passione per molti. Alla fine del XVIII secolo il primo cioccolatino da salotto, come lo conosciamo oggi, fu inventato a Torino da Doret: la tradizione del cioccolato nel 1800 era talmente radicata a Torino e in Piemonte che gran parte dei cioccolatai attivi in Italia come Gay-Odin a Napoli, la Bottega del cioccolato a Roma sono originari di questa regione.
Nel 1802 Bozzelli inventò una macchina per raffinare la pasta di cacao e miscelarla con zucchero e vaniglia.[6][13] In realtà bisogna aspettare il 1820 perché il sistema fosse messo a punto, e la prima tavoletta di cioccolata di tipo commerciale fu prodotta in Inghilterra. Nel 1826 Pierre Paul Caffarel iniziò la produzione di cioccolato in grandi quantità grazie ad una nuova macchina capace di produrre oltre 300 kg di cioccolato al giorno. Nel 1828 l'olandese Conrad J. van Houten brevettò un metodo per estrarre il grasso dai semi di cacao trasformandoli in cacao in polvere e burro di cacao.
(7)Pierre Paul Caffarel
(8)Conrad J. Van Houten










Sviluppò inoltre il cosiddetto processo olandese, che consiste nel trattare il cacao con alcali per rimuoverne il gusto amaro.[14] Questi trattamenti resero possibile il produrre il cioccolato in barrette. Il primo cioccolato in forma solida in scala più estesa rispetto a quello di Doret sembra essere stato prodotto nel 1847 da Joseph Fry. Nel 1852 a Torino Michele Prochet comincia a miscelare cacao con nocciole tritate e tostate creando la pasta Gianduia che verrà poi prodotta sotto forma di gianduiotti incartati individualmente.
(9)Michele Prochet
Daniel Peter, un fabbricante di candele svizzero, si unì al suocero (François-Louis Cailler, inventore della tavoletta di cioccolato) nella produzione del cioccolato. Nel 1867 iniziarono a includere il latte tra gli ingredienti e presentarono sul mercato il cioccolato al latte nel1875. Per rimuovere l'acqua contenuta nel latte, consentendone una più lunga conservazione, fu assistito da un vicino, un fabbricante di alimenti per l'infanzia di nome Henri Nestlé.
(10)Daniel Peter


(11)Henri Nestlé
Nel 1879 Rudolph Lindt infine inventò il processo chiamato concaggio (conching), che consiste nel mantenere a lungo rimescolato il cioccolato fuso per assicurarsi che la miscelazione sia omogenea. Il cioccolato prodotto con questo metodo è il cosiddetto "cioccolato fondente".[6] Il cacao è stato anche motivo di una continua lotta finanziaria tra i grandi esportatori (Africa e Brasile) ed i mercati d'acquisto (Europa e USA).
(12)Roudolph Lindt
L'iniziale artificioso rialzo dei prezzi provocò una forma di boicottaggio commerciale, soppresso dalle necessità della seconda guerra mondiale. Terminata la guerra, vi fu una diminuzione del prodotto, determinato da malattie e dall'invecchiamento delle piantagioni, sintomo di una non oculata gestione delle stesse. Il valore commerciale della produzione americana (soprattutto Messico e Guatemala) è superiore a quello della produzione africana o di altri paesi. In Italia, la regione di Torino produce il 40% della produzione italiana per un volume di 85.000 tonnellate annuali.
In seguito botteghe artigiane di produzione del cioccolato si svilupparono anche a Napoli, a Roma, a Milano, a Bologna, a Firenze e a Venezia. Naturalmente un settore come quello del cioccolato, in Italia, scontava il ritardo dello sviluppo economico del paese, dove il consumo di cacao era molto inferiore a quello dei paesi centro-nord europei. Non giovavano allo sviluppo di questo settore anche la politica doganale ed il protezionismo del settore dello zucchero, che rendeva la produzione del cioccolato particolarmente costosa e, quindi, ancora lontana da consumi di massa. Con l’abbassamento delle tariffe doganali e con lo sviluppo del triangolo industriale nell’età giolittiana, prima della “grande guerra”, si registrò una crescita delle aziende a Torino e Milano. A Novi Ligure nel 1903 si vide nascere la Novi cooperativa di dettaglianti e grossisti dolciari; a Genova, il principale porto d’ingresso del cacao in Italia, furono fondate l’Elah, nel 1909, e la Dufour nel 1926, oggi edificate nel gruppo Elah Dofour Novi. A Venezia, città di antiche tradizioni, nel Novecento c’erano solo due aziende di qualche rilievo: Taboga a Mestre e Giore a Venezia. Le imprese dolciario- cioccolatiere italiane, per numero di addetti, risorse e dimensioni degli impianti fino alla prima guerra mondiale appaiono ancora relativamente modeste rispetto a quei paesi europei, tanto è vero che il mercato italiano, ancorché non grande, alla vigilia della guerra era servito al 50% delle esportazioni straniere, prevalentemente svizzere. Durante la guerra mondiale l’industria cioccolatiera italiana, anche in forza delle limitazioni delle importazioni e della preferenza accordata alle imprese nazionali nelle commesse militari per il cacao, guadagnò il proprio mercato interno. Il trend positivo si prolungò anche nel dopoguerra, ma sempre con le caratteristiche aziende di piccole dimensioni. Una particolarità dell’industria cioccolatiera italiana è quella di addensarsi in distretti territoriali ben delimitati e di lunga tradizione. In quegli anni nacque anche la Perugina a San Sisto, vicino a Figura 1.1.6 Fabbrica Perugina a San Sisto 1922 Fonte: Sito internet www.Perugina.it 16 Perugia, dove Luisa Spagnoli inventò nel 1922 il famoso “Bacio”, un’intuizione per recuperare le briciole di nocciole, residuo di altre lavorazioni. Dopo tanti anni di supremazia dei paesi nordici finalmente nei tempi recenti il mondo cioccolatiero italiano è in grande fermento. Prima di tutto sono aumentati i consumi interni: gli italiani consumano, infatti, 3,8 chilogrammi di cioccolato l’anno, contro i 2,6 di dieci anni fa. Il segmento merceologico della cioccolata in tavolette in cinque anni ( dal 1997 ad oggi) è cresciuto del 16%. Ogni anno sono immessi nel mercato 83.700 tonnellate di cioccolatini, 45.000 tonnellate di crema da spalmare e altrettanti snack al cioccolato. 35.000 tonnellate di tavolette, 9.850 di uova e 9.500 di cacao in polvere. Una valanga golosa di prodotti industriali cui si affianca una vera e propria galassia di maestri cioccolatieri , laboratori artigianali, semiartigianali che fanno del “cibo degli dei” un’arte raffinata in tutta Italia. I nomi dei cioccolatini italiani unici e famosi con in testa “Rocher”, “Mon Cherì”, “Otello”, “Fiat”, “Bacio”. Una vera e propria “grande armata” di produttori che ha per “missione” quella di addolcire la vita, senza barriere di età e senza differenze di genere
Fonte:Wikipedia