domenica 29 dicembre 2019

Come diventare il colosso del cacao in soli due anni

Togo cacao
Fino a due anni fa il Togo era una delle nazioni più povere al mondo e le uniche risorse attraverso le quali riusciva a tenere in piedi la barcollante economia erano rappresentate dalle esportazioni di cotone e fosfati di calcio.
Oggi tutto è cambiato grazie all'intuizione di Donho Kossivi, un agronomo 34enne che ha studiato in Francia e in Italia e che
rientrando in patria ha messo a disposizione le sue conoscenze. Per anni il Togo ha tentato inutilmente di sfruttare i suoi terreni per la coltivazione del caffè, ma Kossivi si è reso conto che erano più adatti per il cacao. Il progetto del giovane agronomo è stato abbracciato da oltre 1.600 agricoltori che, applicando tecniche di coltivazione biologica, stanno migliorando condizioni e fertilità della terra, proteggendo l'ecosistema e garantendo una produzione sostenibile anche in futuro.
Con una popolazione di poco più di 5 milioni di abitanti (metà della Lombardia), il Togo è uno dei paesi più piccoli dell'Africa occidentale, stretto in una regione in cui si trovano il Ghana e la Costa d'Avorio, che producono il 60% del cacao consumato nel mondo. Secondo le stime della Fao, la produzione del «cibo degli dei» in Togo ha raggiunto le 22mila tonnellate nel 2018, superando quota 35mila nel 2019. E così, nello spazio di due anni, il Togo si è trasformato nel settimo produttore al mondo di cacao, scalzando la Papua Nuova Guinea, uno dei colossi internazionali, e minacciando Brasile e Nigeria.
Le piante di cacao vengono coltivate in un triangolo formato dalle città di Atakpamé, Badou e Kpalimé, nella regione degli altipiani. La particolarità dei terreni e le abbondanti precipitazioni durante la stagione delle piogge consentono la coltivazione dell'amelonado, un'antica varietà con un particolare sapore amaro particolarmente apprezzato dai principali cioccolatieri. La Scoops Procab, principale cooperativa di coltivatori togolesi, vende la sua produzione alla società di esportazione svizzera Gebana, che ha certificato l'origine sostenibile del raccolto. «C'era grande interesse da parte della Cina - spiega il ministro dell'Agricoltura Koura Agadzi - ma non abbiamo alcuna intenzione di svendere il cacao o di affidare a paesi stranieri la gestione della più importante risorsa della nostra economia». Nel 2011 la vicina Costa d'Avorio sprofondò in una vera e propria guerra civile proprio per le concessioni delle piantagioni di cacao. Il presidente uscente Laurent Gbagbo, che aveva sottoscritto un accordo con Pechino, tentò di sedare nel sangue la rivolta degli agricoltori, fino a ritrovarsi con una condanna all'Aja per crimini contro l'umanità.
La mancanza di conoscenze settoriale è il tallone d'Achille dell'agricoltura del Togo. Per risolverlo, nel 2018 Scoops Procab, attraverso un finanziamento del fondo monetario africano, ha implementato cinque campi scolastici in cui i produttori dei villaggi circostanti apprendono le tecniche di agricoltura biologica. «Gli orticoltori togolesi ora sanno ad esempio che i baccelli di cacao vuoti possono essere una fonte naturale di fertilizzante eccezionale - spiega Kossivi, che durante la sua tappa italiana ha studiato al dipartimento di agronomia dell'Università di Padova - Gran parte dell'agricoltura si basa sulla prevenzione e la cura della salute della pianta, come nel caso delle persone. Se sei in salute, sarà più difficile ammalarsi e se hai sintomi di una malattia, puoi riconoscere rapidamente che qualcosa non sta andando bene. Allo stesso modo, gli agricoltori devono identificare le malattie nei campi, e avere una maggiore conoscenza della terra». Parassiti come il marciume nero, responsabile delle maggiori perdite di cacao nel mondo, sono alcune delle grandi minacce che devono affrontare gli agricoltori togolesi. Applicando un'educazione sostenibile nei loro campi, potrebbero quasi raddoppiare la produzione e, quindi, aumentare i loro profitti del 40%.
Gertruide Dacke è la supervisore di uno staff di 60 donne che lavorano per Choco Togo, l'unica azienda togolese che trasforma il cacao biologico della regione in diversi prodotti di consumo finale come tavolette di cioccolato o burro. Con sede a Lomé, capitale del Togo, e una forza lavoro di 80 persone, questa azienda innovativa incoraggia la coltivazione dell'amelonado. Gertruide spiega di aver deciso di impegnarsi nella trasformazione della varietà ecologica per «offrire al consumatore un prodotto di qualità senza additivi chimici che danneggino la salute». In totale, i lavoratori trasformano le tonnellate di prodotto e lo commercializzano sia a livello nazionale sia internazionale nei paesi dell'Africa occidentale e dell'Europa. Choco Togo ha piani ambiziosi per il futuro: sviluppare ulteriormente il concetto di economia sociale, aumentare la capacità di produzione e diversificarla.
Secondo i dati del Cocoa Barometer, consorzio impegnato nel combattere lo sfruttamento in Africa, se il settore dovesse continuare a sviluppare il business com'è accaduto fino ad ora, ci vorranno decenni prima che i diritti umani vengano rispettati e l'ambiente protetto. A questo proposito, la promozione e l'inclusione delle pratiche ecologiche contribuirebbero alla lotta contro i cambiamenti climatici e al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite. La riduzione dell'erosione e del degrado, l'aumento della fertilità del suolo e il rispetto della biodiversità sono alcuni dei benefici tangibili nelle piantagioni ecologiche togolesi e un esempio da seguire per gli agricoltori impegnati in altre colture. Inoltre, l'agro-ecologia potrebbe contenere la denutrizione nel continente, la cui popolazione raddoppierà entro il 2050. «L'agricoltura chimica ha un potenziale maggiore per la produzione a breve termine, ma se consideriamo i costi ambientali, quella biologica è più redditizia e tiene conto delle generazioni future», conclude Kossivi, che di recente, per il suo impegno, ha ottenuto un prestigioso riconoscimento dalla Fao.

Fonte: ilgiornale.it